Quale giudice per la protezione dei minori stranieri soli?

Mbaye (nome di fantasia) ha 16 anni quando arriva in Italia dal Senegal. La sua è una storia come quella di tanti come lui, minori stranieri non accompagnati, in cammino da mesi con mezzi di fortuna attraverso il suo continente, passando dalla Libia. Dove, anche se questo non è mai riuscito a raccontarlo, con tutta probabilità ha vissuto esperienze che lo hanno segnato ancor più del distacco, della fatica e della paura del viaggio.

Dalla Sicilia viene mandato qui, in Puglia, in un piccolo centro a metà strada tra Bari e Foggia, in una comunità educativa dove, come succede nella nostra regione, per una scelta fondata sul principio di non discriminazione, sono accolti ragazzi fuori famiglia, italiani e non. Presto Mbaye, sempre silenzioso e cupo, manifesta il suo malessere con grande aggressività, verso gli altri compagni, verso se stesso, verso le cose. La situazione è tanto grave e tanto poco gestibile dagli operatori da spingerli a segnalare il disagio del ragazzo ai servizi territoriali e al tribunale per i minorenni, che aveva provveduto all’affidamento. Mbaye viene trasferito in un’altra comunità, questa volta nel capoluogo, e sempre sotto attento monitoraggio da parte del Tribunale e dei Servizi. Ma il cambiamento di contesto non è sufficiente a contenere i suoi comportamenti spesso violenti, e ancora una volta i giudici, togato e onorario si attivano prontamente, soprattutto perché è ormai evidente che il ragazzo manifesta un disagio psichico molto serio e la collocazione in una comunità educativa non consente una presa in carico adeguata. Parte, anche con il coinvolgimento tramite il mio Ufficio degli altri garanti regionali, una vera e propria ricognizione su tutto il territorio nazionale per individuare una di tipo sanitario-assistenziale in grado di accogliere minorenni stranieri, anche in accordo con il primo Comune titolare dell’accoglienza, e disponibile a sostenere l’onere dell’ulteriore collocamento anche fuori regione. Mbaye viene trasferito in un luogo più adatto a lui, dove si potranno riparare con strumenti si spera più efficaci i tanti traumi che ha portato con sé.

Non possiamo saperlo, e tante sono le domande che storie come questa spalancano. Una su tutte però: cosa sarebbe stato di Mbaye e della sua sofferenza se a occuparsi della sua protezione non ci fosse stata la rete solida e continua tra i magistrati del Tribunale per i minorenni, gli assistenti sociali del Comune, gli operatori delle comunità, il tutore?

Quale giudice di un tribunale civile avrebbe potuto contare sulle tante esperienze pregresse, sull’affiancamento di un giudice onorario (nel caso di Mbaye uno psicoterapeuta specialista in traumi da maltrattamento e violenza), sul dialogo costante con tutti gli altri interlocutori, assistenti sociali in primis, per valutare il percorso del ragazzo e assumere le decisioni più appropriate? Quale giudice di un tribunale civile avrebbe avuto non dico la sensibilità ma semplicemente il tempo di attivare la ricerca in tutta Italia di una struttura adatta ai suoi bisogni?

E quale giudice si farebbe parte attiva insieme alla Caritas della sua diocesi e alle associazioni di volontariato per promuovere esperienze di affido di minori stranieri soli, come sta facendo da due anni la Presidente del Tribunale per i Minorenni di Taranto, tanto consapevole della delicatezza della loro condizione da aver scelto di curare personalmente su questo tema la formazione dei nuovi tutori organizzata dall’Ufficio Garante?

Temo pochissimi, forse nessuno.



Un altro nodo cruciale poi è quello della nomina dei tutori, visto che le tutele sono in generale disposte dal Giudice tutelare, con tempi anche di qualche mese, mentre verifichiamo invece la maggiore tempestività delle nomine da parte del Tribunale per i Minorenni di Bari. Sotto questo profilo nemmeno la cd. Legge Zampa sembra superare il doppio canale della nomina, dal momento che individua il Tribunale per i Minorenni come destinatario degli elenchi di tutori formati dai garanti, mentre un’ordinanza (Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 12 gennaio 2017, n. 685) della Corte di cassazione del gennaio di quest’anno ribadisce la competenza del giudice tutelare.

Ho scelto di condividere elementi di realtà per toccare un punto nevralgico: il ruolo che un tribunale specializzato e con competenze esclusive può svolgere nel garantire il pieno accesso ai diritti dei minorenni stranieri soli, ruolo peraltro richiamato anche dall’ANM, solo per citare uno degli ultimi autorevoli interventi in proposito, nel documento in cui esprime viva “contrarietà all’ipotesi di soppressione degli uffici minorili, che, secondo il disegno di legge n. 2284, verrebbero accorpati agli uffici ordinari”.

La direzione, lo diciamo forte e chiaro, dovrebbe essere opposta e andare verso l’attribuzione dell’intera materia che riguarda la protezione dei minori stranieri non accompagnati ai Tribunali per i minorenni, partendo proprio col superare ambiguità nelle competenze, in particolare rispetto all’apertura delle tutele, e, soprattutto, affidando alla specializzazione e esclusività dei giudici quell’universo di fragilità, e di risorse, che preferiamo appiattire dietro l’etichetta MSNA.


Rosy Paparella
Garante per i diritti dei Minori
Regione Puglia


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