Secondo un nuovo studio commissionato dall'UNICEF e realizzato da REACH*, i minorenni migranti che giungono in Europa provenienti dall'Africa prendono la decisione di lasciare casa di propria iniziativa, e non necessariamente con l'intenzione di raggiungere l'Europa.

Per la maggior parte di essi, sono i traumi e gli abusi sistematici a cui hanno assistito o che hanno subito durante la permanenza in Libia a portarli alla fuga verso l'Europa e a spingerli a intraprendere la rischiosa traversata del Mediterraneo Centrale.

Il 75% dei minorenni rifugiati e migranti intervistati in Italia dall'indagine prendono la decisione di mettersi in viaggio da soli.

Dei 12.239 minorenni arrivati in Italia nei primi sei mesi di quest'anno, addirittura il 93% ha viaggiato da solo.

Per questi ragazzi, il viaggio può richiedere due anni o più.

Una delle motivazioni principali fornite riguardo alla fuga dal paese di origine è la violenza domestica, ma anche le privazioni e i conflitti.

Il matrimonio infantile è stato indicato come la motivazione principale da un quinto delle minorenni intervistate.


Il viaggio dei minorenni verso l'Europa è stato spesso frammentato e la loro destinazione mutata lungo la strada.

«Ciò che colpisce maggiormente di questo studio è che esso mostra per la prima volta che le ragioni che spingono i minorenni a lasciare le loro case sono più complesse rispetto a quelle identificate in precedenza, e che i fattori di attrazione che li portano verso l'Europa sono minori di quanto previsto» commenta Afshan Khan, Direttore UNICEF per l'Europa e l'Asia centrale.

L'inferno della Libia, la fuga verso l'Europa
Lo scopo dello studio, frutto della partnership fra UNICEF e REACH, è di fornire ai responsabili politici, alle organizzazioni partner e ai governi informazioni su cosa porti i minorenni a scappare dai loro paesi e dalle loro case.

Le interviste sono state condotte nelle due principali porte d'Europa – Italia e Grecia – su un campione di 850 minorenni fra i 15 e i 17 anni.

Tutti i bambini rifugiati e migranti in Italia hanno dichiarato che il tempo trascorso in Libia è stata la parte più traumatica del loro viaggio via terra.

Circa metà di loro (47%) ha dichiarato di essere stata sequestrata a scopo di estorsione in Libia, e un minorenne su 4 (23%) ha dichiarato di essere stato arrestato arbitrariamente e trattenuto in prigione senza accuse.

La maggioranza di essi proviene da diversi paesi dell'Africa subsahariana, ma alcuni anche da regioni ben più lontane, come il Bangladesh.

«Per coloro il cui scopo era esplicitamente quello di arrivare nel continente, l'attrattiva dell'Europa era la possibilità di migliorare la propria istruzione, vedere rispettati i propri diritti e avere successo nella vita»prosegue Afshan Khan. «Tuttavia, una volta raggiunta l'Europa, la realtà è tristemente diversa e le loro aspettative sono frustrate».

L'indagine condotta in Grecia ha dimostrato che per un terzo dei genitori o tutori di minori migranti e rifugiati cercare un'istruzione migliore per i loro bambini è stata la motivazione principale per cui hanno lasciato i loro paesi per recarsi in Europa.

Tuttavia, l'indagine rivela anche che sia in Italia che in Grecia le procedure troppo lunghe e confuse spingono molti ragazzi ad abbandonare i sistemi di accoglienza, perdendo così la possibilità di frequentare una scuola ed esponendoli ad alti rischi di abuso e sfruttamento.

Grecia e Italia, due modelli migratori radicalmente diversi
Come sottolineato dallo studio, il profilo dei bambini arrivati in Italia e in Grecia varia significativamente.

I minorenni in Italia hanno tendenzialmente deciso di migrare soli e di affrontare in questo modo il viaggio. La maggior parte sono maschi, non accompagnati, tra i 16 e i 17 anni.

I minorenni in Grecia hanno tendenzialmente preso la decisione insieme alle famiglie e quindi di arrivare insieme (il 91% dei minorenni intervistati). Qui la distribuzione tra i generi è omogenea e i minorenni appartengono a tutti i gruppi di età.fonte UNICEF

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*REACH: è un’iniziativa congiunta di due ONG internazionali – ACTED e IMPACT Initiatives – e UNOSAT/UN Operational Satellite Applications Programme



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I Minori Stranieri non Accompagnati

Unicef, in 6 mesi arrivati in Italia più di 12mila minori, il 93% ha viaggiato da solo

Secondo un nuovo studio commissionato dall'UNICEF e realizzato da REACH*, i minorenni migranti che giungono in Europa provenienti ...
Minori straniere non accompagnate e sfruttamento sessuale: Il caso delle ragazze nigeriane.

E’ “Traffiking” il termine utilizzato per designare l’attività criminale basata sul trasferimento illegale di persone da un paese all’altro, al fine di indurle allo sfruttamento sessuale, al lavoro forzato e alla schiavitù domestica. Un fenomeno che ogni anno coinvolge sempre più donne straniere, in particolare bambine , e che annienta ogni diritto umano.Secondo le stime Eurostat, nel mondo i minori vittime di tratta e di sfruttamento si aggirano intorno a un milione e 200 mila, una realtà drammatica in cui si registra un numero oscuro elevato rispetto ai casi effettivamente identificati . In Italia sono circa 1.125 le persone inserite in programmi di protezione, di cui il 10% ha meno di 18 anni e si tratta di ragazze. Tra i minori migranti non accompagnati, le bambine rappresentano un segmento ancor più vulnerabile, per le quali il rischio di essere vittime di stupro, violenze o di essere costrette a prostituirsi è concreto. Ad essere coinvolte nel fenomeno dello sfruttamento sessuale, sono per lo più ragazze nigeriane, rumene e di altri paesi dell’Est Europa indotte alla prostituzione su strade o in luoghi chiusi. Private della loro dignità, i racconti di violenza di queste minori sono disperati e cruenti, le loro condizioni sono assimilabili alla schiavitù.

I Push factors, i cosidetti fattori di spinta verso le migrazioni, sono molteplici. Quasi tutte, scappano nella speranza di migliorare la qualità della loro esistenza e/o della loro famiglia, a causa dell’instabilità politica ed economica che connota i loro paesi di origine. Alcune fuggono da matrimoni forzati, dal rischio di mutilazioni genitali, da servizi di leva obbligatori come accade in Eritrea nel campo di addestramento Sawa, in cui le ragazze sono sottoposte ad ulteriori abusi , a rapporti sessuali forzati e lavori pesanti. Talvolta il reperimento delle vittime avviene attraverso il circuito delle rete familiare e di conoscenti, che si accordano con le organizzazioni criminali che organizzano il viaggio e i relativi documenti falsi. E’ il caso delle ragazzine nigeriane.

Sono loro ad essere, maggiormente coinvolte nel mercato del sesso, spinte dalla povertà delle loro famiglie, l’Europa viene presentata come la meta da dove poter ricominciare, con un nuovo lavoro. Molte sono completamente ignare del destino che le attende, altre invece ne sono consapevoli e d’accordo con la famiglia. Prima della partenza viene effettuato normalmente un rito voodoo, ripetuto anche in Italia o lungo il viaggio, utilizzato come strumento di controllo e di consolidamento della relazione di sottomissione, oltre che per sigillare l’accordo sul pagamento del debito contratto dalle ragazze per raggiungere l’Europa, e che deve essere rimborsato al reclutatore o alla “Mamam”, figura femminile che esercita un ruolo chiave. L’esercizio della stregoneria, posta alla base delle credenze di alcune popolazioni africane, condiziona cosi tanto le ragazze da far loro temere disastrose ripercussioni, richiamate attraverso il malocchio per se stesse e per le proprie famiglie nel momento in cui si dovesse venir meno all’accordo stipulato. A ciò si aggiunge una scarsa conoscenza delle valute occidentali, cosicchè il debito giunge a quote elevatissime, a volte sino ai 50/60 mila euro, ai quali si sommano anche il costo mensile della postazione in strada e l’affitto delle stanze in cui le ragazze risiedono.

Per riuscire a sopportare il peso di questa vita, le ragazze sono spinte a prendere antidepressivi e sostanze psicotrope, sia per prolungare le ore quotidiane di sfruttamento sia per essere più rilassate nel loro atteggiamento verso i clienti. Il numero degli aborti clandestini è notevolmente in salita, cosi come il contagio di malattie sessualmente trasmissibili, tanto che si parla di una vera e propria “epidemia in rosa”. Ogni tentativo di ribellione è severamente punito e talvolta viene a mancare il desiderio di fuggire poiché la vita imposta si presenta cosi degradante ed infamante da non lasciare intravedere alcuna prospettiva di miglioramento per il futuro se non l’accettazione passiva dello status quo. La paura, la vergogna e lo stato di depressione contribuiscono ad annichilire la personalità di queste nuove schiave.

Nel nostro paese, la tratta di persone ai fini dello sfruttamento sessuale costituisce la terza fonte di reddito per le organizzazioni criminali, dopo il traffico illegale di armi e droga.

Gli interventi legislativi per contrastare il fenomeno non sono mancati. Ricordiamo la legge n.228/2003, Misure contro la tratta di persone, con la quale si è provveduto a stabilire un pesante inasprimento della pena, fissata nella reclusione da otto a venti anni, con un aumento da un terzo alla metà della pena da infliggere quando le vittime dei reati di riduzione in schiavitù ai fini dello sfruttamento sessuale o prelievo di organi, siano persone di età inferiore ai 18 anni. Troppo poco rispetto a un fenomeno dalla portata sempre più ampia. La Convenzione di Lanzarote per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale stipulata il 25 ottobre 2007, aveva stabilito la necessità di garantire l’accesso alla giustizia da parte dei minori vittime attraverso l’istituzione presso ogni tribunale di un elenco di gruppi, fondazioni ed organizzazioni non governative ed associazioni in grado di garantire l’assistenza psicologica e affettiva alla persona offesa minorenne .Il nostro Paese è in ritardo nonostante abbia ratificato quanto stabilito nella Convenzione già il primo ottobre 2012. Nell’articolo 18 del DPR n.286/98,(Disciplina sull’immigrazione e norme sulle condizioni dello straniero), si prevede il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi di protezione sociale al fine di consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti di organizzazioni criminali, con la possibilità di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale. L’Italia ha provveduto ad adottare un Piano nazionale di azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli essere umani, sulla base di una direttiva europea del 2011 redatta dal Dipartimento delle Pari Opportunità e approvata in via definitiva solo nel 2016.

Nonostante i ritardi legislativi, non mancano gli interventi sociali a favore delle minori straniere non accompagnate. Il primo atto di cura è l’ascolto di queste ragazze, inteso anche come capacità degli operatori di riuscire a leggere ed interpretare gesti non verbali. In una logica di welfare mix, fondamentale è l’impegno degli organismi del Terzo settore. In particolare si citano i servizi di primo contatto con le vittime, volti a sostenerli dando loro consulenza legale e psicologica, informazioni sui loro diritti, accompagnamento ai servizi territoriali e socio-sanitari. Importante è il lavoro dei peer-educator, per individuare i minori in strada e aiutarli nella fuoriuscita dallo stato di sfruttamento attraverso unità mobili di strada e centri diurni a bassa soglia per i neo-maggiorenni. Sono state attivate anche dei servizi di helpline telefonica per sostenere i minori, disponibile in sei lingue. Molti sono i progetti che prevedono borse di studio e di lavoro oltre che di accompagnamento all’autonomia abitativa. Il filo che lega queste iniziative è l’intento di aiutare queste ragazze a ricostruire la propria identità e il proprio progetto di vita. Molte di loro giungono in Italia con sogni da realizzare, hanno una progettualità migratoria definita, che viene spezzata da un destino crudele. Lo scopo è quello di ridare valore alla loro dignità di donne, di riattivare le loro capacità di empowerment e di resilienza. Il lavoro sociale in questo campo è complesso e delicato ma sicuramente non impossibile. Bisogna agire con maggiore responsabilità, per restituire il diritto all’infanzia e alla speranza che non devono essere più considerati come un semplice obiettivo da realizzare alla luce dell’esistenza del problema, bensì devono essere intesi nei termini di una vera necessità, che deve essere fatta propria da parte dei governi ma anche da chi è più in basso nella catena dell’accoglienza e della gestione del fenomeno.

Floriana Ciotola


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Minori straniere non accompagnate e sfruttamento sessuale: Il caso delle ragazze nigeriane.

Minori straniere non accompagnate e sfruttamento sessuale: Il caso delle ragazze nigeriane. E’ “Traffiking” il termine utilizzato pe...
I minori rifugiati in Grecia vengono etichettati come "adulti" se hanno già i denti del giudizio. 

Molti minori vivono in campi per adulti dove non hanno accesso a percorsi educativi.
Un nuovo scioccante rapporto ha reso noto che minori under 14 che giugono sull'isola greca di Lesbos sono stati identificati come over-18 e costretti a vivere con adulti, senza accesso all'istruzione e ai servizi di protezione.


Le autorità greche registrano in modo veloce i minori come adulti, senza effettuare una valutazione adeguata, secondo quanto riportato dal Report di Human Rights Watch, "Lone Migrant Children Left Unprotected", pubblicato il 20 luglio 2017.



Il Report è frutto del lavoro svolto dai ricercatori di HRW tra il 22 e il 28 maggio e dal 27 al 30 giugno 2017, sull’isola di Lesbos.

HRW ha avuto modo di parlare con 20 ragazzi che hanno dichiarato di essere stati erroneamente registrati come adulti dalle autorità greche.

Secondo il diritto greco e quello internazionale, i minori non accompagnati hanno diritto a speciali cure e protezione. Human Rights Watch ha scoperto che i funzionari che registrano i nuovi arrivi talvolta segnano l’età in modo arbitrario, diciamo a vista/percezione, provocando dei danni inimmaginabili per il futuro di questi ragazzi.

Le procedure sull’accertamento dell’età vengono spesso eseguite in maniera errata durante la registrazione, nonostante i funzionari greci dichiarano a Human Rights Watch di aver utilizzato la procedura multidisciplinare. Molti minori, dichiara HRW, affermano di essere adulti, nella vana idea di evitare la detenzione o perché consigliati erroneamente da adulti. Altra critica pervenuta dai ricercatori di HRW è che i funzionari del servizio di accoglienza solitamente non approfondiscono sull’età dei “falsi adulti”, minori non accompagnati che si dichiarano adulti ma evidentemente minorenni. Inoltre, le autorità non riescono a fornire ai minori informazioni adeguate sui loro diritti appena dopo lo sbarco o durante il processo di identificazione accettando il rischio che bambini trafficati non saranno correttamente identificati e protetti da ulteriori danni. Successivamente si rendono conto di aver commesso un grave errore e cercano di rimediare chiedendo alle autorità greche di registrarli correttamente. Possono passare mesi a cercare di cambiare il loro status ufficiale e nel frattempo continuano ad essere trattati come adulti o raggiungono l'età adulta.

Una delle storie riportate nel report è quella del 17enne Akash del Bangladesh finito nella sezione “adulti” del campo profughi di Moria, dove più di 3.000 persone vivono in condizioni "inammissibili" e "disumane".

Akash aveva detto alle autorità che aveva 17 anni, ma dopo il suo esame dentale hanno cambiato la sua età a 18 anni. "Hanno cambiato la mia età e mi hanno portato fuori dalla sezione dei minori", ha detto. La sua vera età non è mai stata formalmente riconosciuta.

"Abbiamo scoperto che anche nei casi in cui il dentista non fosse in grado di trarre conclusioni, i minori sono stati registrati come adulti", ha detto Eva Cossé, ricercatrice greca di Human Rights Watch, a IBTimes UK.

L’accertamento dell’età viene svolto sia valutando l’arcata dentale sia l’RX del polso, per entrambe è stato ampiamente dimostrata l’inattendiblità.

Anush, 16 anni, fuggito dall'Afghanistan, ha detto alle autorità che aveva vent'anni quando è arrivato a Lesbos l'estate scorsa.

"Ho dato loro questa età, perché quando sono venuto qui i minori non accompagnati erano in un centro di detenzione chiuso all'interno di Moria e come alcune persone mi hanno riferito, quando sei minorenne non puoi lasciare l'isola”. "Non volevo essere bloccato in Moria. C'erano proteste e due minori hanno tentato il suicidio", ha detto. "Ecco perché non volevo dire la mia vera età".

I minori non accompagnati, secondo quando previsto da norme internazionali e Greche possono chiedere di ricongiungersi con i membri della famiglia che vivono regolarmente nei paesi dell'UE.
A seguito di questi errori, perdono questo diritto.

“Forzare i minori a vivere tra gli adulti nei campi in cui gli scontri tra i rifugiati e le forze di polizia sono comuni, ha un’alta incidenza sulla loro salute mentale", ha detto Cossé che ha sentito molti minori affetti da depressione, ansia e insonnia. Molti minori che vivono a Moria le hanno raccontato di episodi di autolesionismo perché si sentono sempre più impotenti all'interno di un campo, dove le tensioni si sono accentuate negli ultimi mesi.

Le proteste violente sono scoppiate a Moria nelle ultime settimane, ultima quella del 18 luglio scorso, quando le squadre anti sommossa sono state riprese mentre lanciavano pietre sui manifestanti.

Le condizioni dell'isola sono peggiorate drasticamente dall'inizio di giugno a causa dell'affluenza dei rifugiati che arrivano in un campo già sovraffollato. Vi è stato un incremento di persone arrivate a Lesbos: 785 a giugno, rispetto alle 230 ad aprile, ha riferito una portavoce di MSF a IBTimes UK.

Amadou, 16 anni, è stato ferito nel corso dell’ultima manifestazione dopo che una granata di gas lacrimogeno è finita su di lui.

"Stavo dormendo quando ho sentito questo rumore. Sono subito uscito per capire e la polizia mi ha lanciato addosso i lacrimogeni”, ha detto.

Cossé ha riferito di aver ricevuto un SMS da un rifugiato che le ha detto che la polizia stava picchiando persone nel campo, tra cui una donna incinta. 

Minori migranti etichettati come adulti. Un nuovo Report HRW sulla Grecia

I minori rifugiati in Grecia vengono etichettati come "adulti" se hanno già i denti del giudizio.  Molti minori vivono in ca...
L’ OIM ha pubblicato il rapporto “LA TRATTA DI ESSERI UMANI ATTRAVERSO LA ROTTA DEL MEDITERRANEO CENTRALE: DATI, STORIE E INFORMAZIONI RACCOLTE DALL’ORGANIZZAZIONE INTERNAZIONALE PER LE MIGRAZIONI” da cui si evince che sono sempre più giovani e sempre più vulnerabili le potenziali vittime di tratta in arrivo via mare in Italia.

Il rapporto è frutto dei dati raccolti dall’OIM presso i luoghi di sbarco e nei centri di accoglienza per migranti nelle regioni del sud Italia.

Negli ultimi tre anni il numero delle potenziali vittime di Tratta a scopo di sfruttamento sessuale è aumentato del 600 per cento, almeno per coloro che sono approdati via mare.

Un aumento che è continuato anche in questi primi sei mesi del 2017 e che coinvolge ragazze sempre più giovani - spesso minorenni - che diventano oggetto di violenza e di abusi già durante il viaggio verso l’Europa e anche all'arrivo. In particolare, il fenomeno riguarda circa l’80% delle ragazze arrivate dalla Nigeria, il cui numero è passato da 1.500 nel 2014 a oltre 11.000 nel 2016.

La stima secondo la quale l’80% delle ragazze nigeriane arrivate via mare in Italia è composto da potenziali vittime di tratta per sfruttamento sessuale è calcolata attraverso indicatori elaborati sul campo dall’OIM, proprio per identificare tempestivamente le vittime e segnalarle alle autorità competenti, in modo da avviare tempestivamente i meccanismi di protezione previsti dalla normativa italiana.

Questi indicatori si basano su informazioni raccolte durante gli incontri individuali e collettivi con i migranti e sono largamente descritti nel rapporto, accompagnati da alcune delle storie raccolte dal personale dell’Organizzazione durante le loro attività.

Questi gli indicatori più significativi:

• Genere: la maggior parte sono donne;

• Età:spesso giovani e minori, tra i 13 e i 24 anni (nel 2016 è state registrata una diminuzione dell'età delle più giovani vittime di tratta);

• Nazionalità: è importante sottolineare le peculiarità del caso delle vittime di tratta provenienti dalla Nigeria, non solo dello Stato di Edo ma da diverse parti del paese (Delta, Lagos, Ogun, Anambra

e Imo sono gli stati d'origine che, oltre allo Stato di Edo, sono i più citati dalle nigeriane incontrate dall'OIM);

• Lo stato psicofisico: quando sono in gruppo, le vittime di tratta sono spesso le più timide e silenziose, talvolta chiaramente controllate da altri migranti che rispondono per loro o si oppongono a un'intervista privata tra la potenziale vittima e il personale dell’Organizzazione.

Altri indicatori ‐ soprattutto di natura socioeconomica – emergono quando è possibile condurre più approfondite interviste individuali.


Questi i più rilevanti:

• Un basso livello di istruzione;

• La situazione familiare: appartengono a famiglie particolarmente svantaggiate; spesso sono le primogenite di famiglie numerose oppure sostengono di essere orfane;

• Le condizioni della loro migrazione: dicono di non aver pagato nulla per il viaggio perché qualcuno ha finanziato i loro spostamenti; hanno difficoltà nel raccontare le varie fasi del loro viaggio e a indicare la durata del loro soggiorno in Libia (quando una durata è molto breve vuol generalmente dire che l‘organizzazione di cui sono vittime è particolarmente efficiente nel riuscire ad accorciare i tempi del viaggio per poterle sfruttare quanto prima in Europa);

Infine, esistono anche indicatori di natura "comportamentale" che emergono durante il primo periodo di accoglienza e che possono essere rilevati dagli operatori dei centri che sono quotidianamente in contatto con le ragazze.

Le attività sul campo dimostrano come la maggior parte delle vittime di tratta non siano disposte, almeno in un primo momento, a rivelare la loro esperienza o ad accedere ai programmi di sicurezza forniti dall’Organizzazione e dagli enti locali.

Ciò è causato da numerosi ostacoli. Fra questi, ad esempio:

- la relazione tra le vittime di tratta e i trafficanti (da cui vengono manipolate);

- il controllo che l'accompagnatore (ad esempio la madame o il “boga”) ha sulle vittime;

- la convinzione che non possono violare il giuramento che hanno sigillato con un rituale

voodoo (una forma di controllo psicologico ed un rito di iniziazione con cui la vittima si impegna ad onorare un accordo);

- un senso di responsabilità nei confronti della famiglia e dei rapporti di parentela che comportano una paura di ritorsioni da parte dei trafficanti sui familiari delle vittime nel loro paese d'origine.
“La tratta è un crimine transnazionale che sconvolge la vita di migliaia di persone ed è causa di inaudite sofferenze”, sottolinea Federico Soda, direttore dell’Ufficio OIM di Coordinamento per il Mediterraneo. “Si tratta di un tema al quale dedichiamo da anni il nostro impegno con attività di protezione, prevenzione e di collaborazione con le autorità che si occupano di contrasto al crimine organizzato”.

“Il rapporto”, spiega Carlotta Santarossa, Project Manager OIM, “descrive le attività dell’Organizzazione relative al contrasto di questo fenomeno: le difficoltà nella tutela e nella protezione delle vittime e le principali vulnerabilità identificate attraverso diversi casi assistiti. Abbiamo inoltre voluto raccontare alcune storie di persone assistite dallo staff dell'OIM per far comprendere in modo più chiaro la vera natura di questa dolorosa e odiosa forma di schiavitù. Riteniamo inoltre sempre più urgente che all’analisi dei dati si affianchi una riflessione sul mercato cui sono destinate queste ragazze e sulla domanda, evidentemente in crescita, di prestazioni sessuali a pagamento.”


Il rapporto si conclude con alcune raccomandazioni e suggerimenti volti ad affrontare con rinnovata efficienza questo fenomeno in Italia.


1)l’OIM ha accolto con favore l’adozione del Piano nazionale Anti tratta che si articola secondo le priorità individuate dalla Strategia dell’UE per l’eradicazione della tratta di esseri umani (2012‐ 2016)27, fra cui le iniziative di sensibilizzazione nelle scuole; in tal senso l’OIM ritiene centrale la realizzazione di campagne informative e disensibilizzazione sul tema della tratta e dello sfruttamento lavorativo rivolte ai giovani nelle scuole e nelle Università;


2) l’OIM esprime il suo apprezzamento per l’adozione da parte del Ministero dell’Interno delle “Linee Guida per le Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale per l’Identificazione ed il referral delle vittime di tratta tra i richiedenti protezione internazionale” realizzate dalla Commissione Nazionale per il diritto d’Asilo e UNHCR e la formazione degli operatori delle Commissioni territoriali su tali procedure onde garantire l’emersione del fenomeno e la protezione delle vittime nell’ambito della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale;


3) l’OIM sottolinea la necessità di rafforzare i meccanismi di protezione attraverso i progetti finanziati dal Dipartimento per le Pari opportunità aumentando in generale il numero di posti disponibili, e in particolare quelli riservati alle vittime di tratta minorenni e con altre vulnerabilità specifiche (psicologiche, sanitarie, etc.), nonché la creazione di luoghi protetti (“case di fuga”) dove trasferire e vittime individuate già al momento dello sbarco così da poterle separare dai loro trafficanti e attivare subito servizi di assistenza specifica;


4) al fine di assicurare l’accesso al sistema di protezione previsto dalla normativa vigente è necessario stabilire meccanismi di referral efficaci fra i diversi attori coinvolti nell’accoglienza dei migranti e richiedenti protezione internazionale in arrivo via mare, compresi gli operatori delle diverse strutture di accoglienza per minori stranieri non accompagnati, così da garantire che le vittime di tratta identificate successivamente al loro arrivo siano accolte in strutture adeguate;


5) è necessario coinvolgere i Relatori Nazionali o i Meccanismi Nazionali Equivalenti (costituiti in una rete informale dell’Unione istituita dalle conclusioni del Consiglio sull’istituzione di una rete europea di relatori nazionali o meccanismi equivalenti sul traffico di esseri umani del 4 giugno 200929), al fine di prevedere azioni di intervento uniformi e lo scambio di informazioni al fine di assicurare che le vittime di tratta richiedenti protezione internazionale non vengano rimandate in un Paese UE, anche in applicazione del Regolamento Dublino III, in cui possono essere ancora a rischio sfruttamento;


6) al fine di garantire un aggiornamento costante di tutti i soggetti coinvolti, comprese le Forze dell’Ordine, e gli operatori dell’accoglienza, onde assicurare la corretta e tempestiva identificazione delle vittime già al momento dello sbarco e potenziare la capacità di assistenza e protezione delle vittime a livello nazionale, nell’ambito dell’attuazione del “Piano Nazionale d’Azione contro la tratta e lo sfruttamento 2016‐2018”, l’OIM desidera promuovere un programma di capacity building rivolto ai diversi attori interessati nella gestione dei flussi migratori, e a tutti i soggetti che a diverso titolo sono chiamati a rispondere al fenomeno della tratta di esseri umani e dello sfruttamento, sia in termini di assistenza diretta alla vittime, che di prevenzione e di contrasto del fenomeno;


7) Le vittime di tratta sono fra le categorie che, secondo la Direttiva 2012/29/UE che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, dovrebbero beneficiare di misure speciali di protezione. È inoltre importare ricordare che‐ laddove siano richiedenti protezione internazionale‐ le vittime di tratta sono fra le categorie definite vulnerabili dalla normativa italiana ed europea, con particolare riferimento per quanto riguarda le misure di accoglienza


Leonardo Cavaliere



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Le potenziali vittime di tratta, sempre più giovani e sempre più vulnerabili

L’ OIM ha pubblicato il rapporto “ LA TRATTA DI ESSERI UMANI ATTRAVERSO LA ROTTA DEL MEDITERRANEO CENTRALE: DATI, STORIE E INFORMAZIONI...
Minori tutti al Campo della Croce Rossa, insieme ad adulti. Questa appare la decisione delle istituzioni di Ventimiglia, che intendono svuotare il centro d’accoglienza della Chiesa di Sant'Antonio, detta anche "delle Gianchette” nei prossimi giorni e concentrare tutti i migranti – comprese le famiglie con bambini e i minori non accompagnati anche molto piccoli – nel campo d’emergenza allestito dalla Croce Rossa nei pressi del fiume Roja, privo di servizi a loro dedicati. Terre des Hommes lancia un appello perché questa decisione venga rivista e il centro non chiuda, in attesa che venga realizzato una struttura dedicata ai migranti più piccoli e vulnerabili, come detta la Legge Zampa.

“Da mesi chiediamo a gran voce l’allestimento a Ventimiglia di un centro di accoglienza dedicato solo ai minori e famiglie con bambini, dove sia possibile garantire loro un’adeguata protezione con fornitura di servizi di prima necessità ma anche orientamento, assistenza psicosociale e informativa, in luogo protetto”, dichiaraFederica Giannotta, Responsabile dei Progetti Italia della Fondazione Terre des Hommes. “Questo è quanto prevede la recente legge 47/2017, dove si specifica che "per le esigenze di soccorso e di protezione immediata, i minori non accompagnati sono accolti in strutture governative di prima accoglienza a loro destinate”. Invece oggi si paventa la chiusura delle Gianchette, che per lungo tempo ha rappresentato l’unico luogo sicuro in città per l’accoglienza e la protezione di queste persone particolarmente a rischio”.

Benchè sia stato aperto da poco tempo il Campo ‘Roja’ della Croce Rossa, sussistono diverse ragioni per non accettare la chiusura dei pochi posti disponibili presso la Chiesa. Innanzitutto la dimensione dei flussi che continua a crescere (basti vedere gli sbarchi degli ultimi giorni in Sicilia) non giustifica la chiusura delle Gianchette, quando persino i posti del Campo Roja potrebbero non essere abbastanza.

Inoltre il Campo, aperto sulla scia dell’emergenza, in mancanza di altro, per dare un tetto a chi viveva sul greto del fiume, non può essere considerato quale soluzione definitiva d’accoglienza, non essendoci spazi realmente protetti per i minori, che quindi sono ospitati in promiscuità con gli adulti. Ciò è particolarmente grave per le ragazze, esposte a rischio di abusi e sfruttamento nella prostituzione. Pure la sua collocazione, molto lontano dal centro di Ventimiglia e accanto alla tangenziale, lo rende molto pericoloso per i minori, che per spostarsi rischiano di essere vittime d’incidenti. Come del resto è già accaduto.

Al contrario la Chiesa delle Gianchette nel tempo è diventato un punto di riferimento in città e, per quanto piccola e con poche disponibilità di posti, è l’unico vero luogo ancora sicuro e protetto dove categorie molto vulnerabili e a rischio come i ragazzini molto piccoli e i nuclei famigliari di migranti possano dirsi davvero ‘accolte’. Terre Des Hommes


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Ventimiglia: NO alla chiusura delle Gianchette Contraria ai diritti dell’infanzia l’accoglienza promiscua dei minori migranti

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